Il premio Nobel per la pace e attivista Narges Mohammadi, condannata a 16 anni di reclusione in Iran, sta lavorando alla pubblicazione di due libri, uno dei quali è incentrato sulle condizioni delle donne che, come lei e Cecilia Sala, sono detenute nel carcere di Evin a Teheran. Le dichiarazioni sono contenute in una rara intervista a distanza che il premio Nobel ha rilasciato alla rivista francese Elle approfittando di una sospensione della pena di tre settimane per motivi di salute.
"Ho finito la mia autobiografia e intendo pubblicarla. Sto scrivendo un altro libro sulle aggressioni e le molestie sessuali commesse contro le prigioniere in Iran. Spero che venga pubblicato presto", ha dichiarato l'attivista per i diritti umani. "Il mio corpo è indebolito dopo tre anni di detenzione intermittente senza permesso, ma la mia mente è d'acciaio", racconta. "Nella sezione femminile siamo in 70, di tutte le estrazioni sociali, di tutte le età e di tutte le convinzioni politiche", tra cui giornalisti, scrittori, intellettuali, persone di diverse religioni perseguitate, bahai, curdi, attivisti per i diritti delle donne, spiega. "L'isolamento è uno degli strumenti di tortura più comunemente utilizzati. È un luogo dove i prigionieri politici muoiono. Ho documentato personalmente casi di tortura e di gravi violenze sessuali contro i miei compagni di prigionia", aggiunge l'attivista 52enne.
"Nonostante tutto, per noi prigionieri politici è una sfida lottare per mantenere una parvenza di normalità, perché si tratta di dimostrare ai nostri aguzzini che non saranno in grado di raggiungerci, di spezzarci", continua, indicando che condivide la stanza con altri 13 prigionieri. L'attivista aggiunge che "ogni volta che ne parla sui giornali, rischia di subire nuove accuse" e che "ogni mese circa" è soggetta a nuovi procedimenti e condanne. Dall'Onu al comitato norvegese per il Nobel, molte voci hanno chiesto il suo rilascio incondizionato e permanente.
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