Il 4 gennaio del 1991 al Pilastro di Bologna la strage della Uno Bianca. "Difficile non pensare - dicono i familiari dei tre giovani carabinieri uccisi dalla banda , Otello Stefanini, Andrea Moneta, Mauro Mitilini - di fronte a tanta efferatezza, caratterizzata da una precisa pianificazione e dalla determinazione ad uccidere, che quella del Pilastro fu una strage esemplare, un colpo allo Stato, un'azione con un significato che riporta alla memoria le grandi stragi che hanno insanguinato il nostro paese".
I familiari dei tre militari, che nel 2023 hanno presentato un esposto per la riapertura delle indagini chiedendo di accertare complicità e coperture di cui avrebbero goduto i fratelli Savi (condannati all'ergastolo) si dicono "fiduciosi" che il lavoro dalla Procura di Bologna "darà i suoi frutti ed auspichiamo che il muro di omertà, che aveva ostacolato la ricerca della verità, continui a crollare". "Riteniamo doveroso ricercare le responsabilità sui depistaggi e le connivenze di tutte e 103 azioni compiute dalla banda della Uno Bianca, lo si deve a tutti i feriti ed i caduti di questi sette lunghi anni di terrore, ma soprattutto perché eventuali complici e mandanti ancora liberi rappresenterebbero una seria minaccia per la democrazia del nostro paese", aggiungono.
Al Pilastro ci fu dunque "un agguato premeditato, certamente non indirizzato a impadronirsi delle armi dei giovani carabinieri trucidati, armi che peraltro non furono sottratte. I killers erano travisati e muniti di potenti armi, avevano già predisposto l'incendio della uno bianca con il kerosene per cancellare le tracce ed un'Alfa 33 con un loro complice alla guida, ad oggi rimasto sconosciuto, che garantì la fuga dei Savi dal quartiere Pilastro, probabilmente quel tragico incontro non fu casuale", continuano.
"Riteniamo - dicono poi - che anche la dinamica della strage sia diversa da quella disegnata dalla corte di Assise del 1997, così come attestato da numerose testimonianze e dalle perizie balistiche. La prima arma a sparare in via Casini angolo via Ada Negri fu la calibro 38 (e non l'AR 70), un'azione che disarticolò la pattuglia dei Carabinieri colpendo ripetutamente l'autista per poi terminare la loro missione di morte una volta che l'auto dei militari impattò contro alcuni contenitori della nettezza urbana". Resta, per i familiari delle tre vittime, "un interrogativo inquietante: per quale motivo i poliziotti della banda Savi avevano pianificato un agguato a tre giovani carabinieri?".
"Durante il nostro cammino per la ricerca della verità abbiamo incontrato diffidenza e dichiarazioni depistanti, ma noi continueremo a perseguire il nostro obiettivo per una verità completa, a partire dall'arresto dei Savi, che avvenne, secondo l'allora ministro dell'interno (udienza del 29.01.1997 - Corte di Assise di Bologna) grazie ad una segnalazione diretta ( una notizia confidenziale ). Chi è questo sconosciuto confidente che fece quelle importanti dichiarazioni? Era legato ai Savi?".
Con la strage del Pilastro, ricordano, "persero la vita tre giovani carabinieri, Mitilini Mauro, Moneta Andrea, Stefanini, Otello, una ferita ancora aperta nel nostro paese perché conosciamo solo alcuni esecutori materiali di quell'eccidio". L'eccidio fu "una strage compiuta dalla cosiddetta Banda della Uno bianca, un gruppo criminale che ha eseguito azioni, apparentemente, senza un chiaro movente e caratterizzate da una ferocia omicida del tutto irragionevole rispetto ai presunti obbiettivi, terrorizzando, indisturbata, una parte del nostro paese per 7 lunghi anni".
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