Ossessionati dalla bellezza
esteriore e dal giudizio degli altri, sacrifichiamo tutto in
nome dell'apparenza lasciando prevalere menzogne e tradimenti.
Su questo invita a riflettere 'La forma delle cose' del
drammaturgo americano Neil LaBute, nella traduzione di Masolino
d'Amico, per la regia di Marta Cortellazzo Wiel, in prima
nazionale al Gobetti di Torino il 7 gennaio. "Siamo tutti
bombardati da storie di quindici secondi che ci costringono a
dire che stiamo bene, che siamo felici, che tutto va alla
grande. Vorremmo che ognuno di noi si mettesse la mano sul cuore
e, nella sua intimità, chiedesse a se stesso quanto si senta
incoraggiato a dire le cose che non vanno, a raccontare le
proprie fragilità", spiega la regista che è anche attrice ed è
reduce dalla tournee della Locandiera al fianco di Sonia
Bergamasco.
'La forma delle cose' è il primo dei tre drammi che
compongono la Trilogia della bellezza, scritta da LaBute tra il
2001 e il 2008. "Quando il testo, di cui c'è anche una versione
cinematografica, è stato pubblicato, nel 2001 - dice Marta
Cortellazzo Wiel - i social network cominciavano a entrare nelle
nostre vite. Il testo di LaBute si rivela sorprendentemente
attuale anche dopo vent'anni dalla prima messa in scena: viviamo
oggi in un'epoca che sacrifica tutto in nome di slogan e
apparenze. Il titolo stesso, La forma delle cose, richiama
l'ossessione per l'estetica e la perfezione. II testo al di là
dei necessari tagli è quasi tutto fedele all'originale. Ho
voluto tenere tutti gli attori in scena in uno spazio astratto.
Unici oggetti gli specchi e un pianoforte".
Nella sala di un museo di una cittadina di provincia, ai
piedi della statua dell'artista Fornecelli, raffigurante Dio, si
incrociano le vite di Adam, un giovane guardiano di sala, ed
Evelyn, studentessa d'arte dalla personalità magnetica,
impegnata nel suo progetto di laurea. Questo incontro segna
l'inizio di una serie di eventi che porterà i protagonisti a
confrontarsi con le proprie fragilità, mettendo in discussione
le certezze su cui hanno costruito la propria identità - o
"forma" - e destabilizzando il precario equilibrio delle loro
vite. In scena Christian Di Filippo, Celeste Gugliandolo,
Marcello Spinetta, Beatrice Vecchione. Tre di loro - Marcello,
Christian e Beatrice - sono stati compagni della regista alla
scuola dello Stabile di Torino. Scene e costumi sono di Anna
Varaldo, le luci di Alessandro Verazzi, il suono di Filippo
Conti. Lo spettacolo, prodotto dal Teatro Stabile di Torino,
resterà in scena fino a domenica 19 gennaio.
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