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Figlio concepito in carcere, il padre non lo vede nascere

Figlio concepito in carcere, il padre non lo vede nascere

La madre: 'Non essendoci colloqui intimi dicono che non era suo'

BOLOGNA, 14 marzo 2025, 13:20

Redazione ANSA

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© ANSA/ANSA/ALESSANDRO DI MEO

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(di Alessandro Cori) "Abbiamo concepito in carcere, alla Dozza, il nostro secondo figlio, durante un normale colloquio, approfittando del fatto che nessuno ci stesse sorvegliando. Poi quando si è avvicinato il momento della nascita abbiamo fatto istanza al magistrato di sorveglianza per consentire al papà di essere presente, ma la richiesta è stata rigettata perché il carcere ha dichiarato che non potevamo avere colloqui intimi e quindi era impossibile che fosse figlio suo.
    Sono stati violati i nostri diritti". E' quanto racconta Helena, compagna di Luca Zindato, detenuto per una serie di rapine con fine pena nel 2039.
    "Durante la gravidanza - spiega la donna - il mio compagno ha informato le autorità del carcere e anche l'educatrice che lo segue di quanto era avvenuto e nessuno ha mai detto nulla. Poi però è stata messa in dubbio la sua paternità e il magistrato ha deciso di non farlo venire alla nascita, avvenuta il 2 marzo, una cosa che non si nega nemmeno ai detenuti al 41 bis. Il rigetto, tra l'altro, ci è stato notificato dopo che mio figlio è venuto al mondo".
    Anche il riconoscimento del bambino è stato un problema.
    "L'iter burocratico è stato estenuante - racconta ancora Helena - il magistrato infatti ha respinto anche la richiesta di far venire il mio compagno in ospedale per vedere suo figlio e riconoscerlo, dicendo che poteva farlo in carcere entro dieci giorni dalla nascita. Alla fine ho dovuto firmare in Comune un atto di consenso al riconoscimento paterno e finalmente, il 12 marzo, l'ufficiale della anagrafe è venuto in carcere per fargli firmare i documenti. Il mio compagno sta pagando per quello che ha fatto, ma era un suo diritto veder nascere il figlio. Tutto questo non sarebbe successo se fosse rispettato il diritto ad avere colloqui affettivi in carcere, come ha stabilito anche una sentenza della Cassazione lo scorso anno".
    La vicenda è stata seguita dall'avvocata Elena Fabbri. "E' poco dignitoso quanto è successo - ha detto la legale - parliamo di un evento straordinario, la nascita di un figlio. Inoltre i colloqui affettivi sono un diritto, non solo per il detenuto ma anche per i familiari. In queste situazioni c'è tanta burocrazia e poco rispetto per i reclusi. Credo che il carcere si sia trovato in una situazione di imbarazzo, perché qualcuno avrebbe dovuto vigilare su quel colloquio".
   

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