“Il meccanismo alla base del terremoto avvenuto oggi in Tibet è simile a quello che caratterizza buona parte degli eventi che si verificano in Appennino”, dice all’ANSA Carlo Doglioni, presidente dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia: “In quella zona, infatti, la collisione tra la placca tettonica indiana e quella eurasiatica, che da milioni di anni genera il sollevamento della catena Himalayana, è caratterizzata da una serie di faglie di tipo estensionale, che cioè portano a un allontanamento tra i due blocchi".
"I terremoti che avvengono in questa zona – aggiunge Doglioni – spesso di magnitudo tra 6 e 7, sono prevalentemente dovuti al dilatamento Est-Ovest del Tibet, mentre non è stato il caso di quello avvenuto in Nepal nel 2015, che raggiunse magnitudo 7.8 e provocò più di 8mila vittime, che fu causato invece da una faglia compressiva”. Secondo i dati registrati dalla sala sismica dell’Ingv a Roma l’evento, verificatosi alle ore 02,05 italiane 80 chilometri a Nord del Monte Everest, ha avuto una magnitudo di 7.0.
“Le nostre registrazioni avvengono da una distanza sufficientemente grande da filtrare dati di disturbo lovali – afferma Doglioni – dunque sono più affidabili delle registrazioni fatte a livello locale”. Si tratta di una magnitudo molto elevata per un terremoto di questo tipo: “È vicina al massimo, che si aggira su 7.5, per sistemi come questo – prosegue il presidente dell’Ingv – in cui la crosta si dilata e il volume collassa per gravità”.
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