(di Angela Majoli)
"Una lingua contemporanea, informale,
che risente molto del parlato e lascia alle spalle la tradizione
letteraria", "poche parolacce, pochi disfemismi qua e là", "una
certa omogeneità, legata probabilmente al fatto che un gruppo
ristretto di autori firma una buona parte delle canzoni" e
soprattutto "niente scandali". È il giudizio, "a una prima
lettura dei testi", sulle canzoni in gara a Sanremo formulato da
Lorenzo Coveri, già professore ordinario di Linguistica italiana
nell'Università di Genova e accademico della Crusca, tra i
massimi studiosi della lingua della canzone italiana.
"Premetto che senza aver ascoltato la musica il giudizio
sulle canzoni non può essere completo", spiega il linguista, da
sempre attento alla comunicazione giovanile e al linguaggio dei
media. "Sanremo intanto è condizionato ormai dalle piattaforme,
dalle radio: non si scrive più la canzone per vincere il
festival, ma per durare almeno sei mesi, arrivando possibilmente
fino ai tormentoni estivi", fa notare. "E poi andando al
festival si entra nel mainstream, e questo fa da filtro, crea
una specie di media, anche linguistica: anche più trasgressivi
all'Ariston si moderano", sorride Coveri, che da anni condensa
la sua analisi linguistica dei brani in schede pubblicate sul
magazine web Mente Locale e sul profilo Instagram dell'Accademia
della Crusca. "Le scelte di Carlo Conti si collocano nel solco
dei cinque anni di Amadeus, cercando di dare spazio a tutti i
generi: a ben guardare, però, la quota cantautori è ristretta,
quella dei rapper è più piccola rispetto alla realtà del
mercato, il rock e le band sono assenti... Insomma siamo nel
pieno del pop: di tutto un pop, potremmo dire. E c'è ben poco da
scandalizzarsi".
A partire dal testo di Tony Effe, preceduto dalle polemiche
sul concerto di Capodanno a Roma e sui testi violenti e
sessisti: "Damme Na Mano è una canzone in romanesco in cui non
c'è niente che possa turbare la serenità del pubblico sanremese.
Cita esplicitamente Califano e 'non fare la stupida stasera'. Se
questo doveva essere lo scandalo, lo scandalo non c'è".
A colpirlo, in particolare, Brunori Sas e Lucio Corsi: "Nel
suo L'Albero delle Noci Brunori, da cantautore classico,
celebra, con un testo nettamente autobiografico, l'arrivo della
figlia Fiammetta, con invenzioni e immagini molto belle, a parte
qualche tratto del passato come rime baciate". "Molto originale
e fresco" è Corsi, con Volevo Essere Un Duro: "Racconta la
difficoltà di crescere con ironia e immagini divertenti: è un
uomo pronto ad affrontare i pericoli della vita ma con un'anima
da bambino". Shablo feat. Guè, Joshau, Tormento, con La Mia
Parola, "è interessante soprattutto per i linguisti perché pesca
e piene mani nel gergo dell'hip hop: è una street song, tu fai
chatty chatty io faccio parlare il mio flow, è rap e blues e gin
e juice, si gioca anche con le rime in funzione ironica". Una
citazione merita Willie Peyote, che in Grazie Ma No Grazie
"affronta tempi più impegnati, a sfondo sociale. In genere le
canzoni di Sanremo, come i critici hanno notato, quest'anno
parlano soprattutto di amore, preferibilmente sfortunato, e di
disagio, a anche di depressione, come nel testo di Battito di
Fedez. Evidentemente la misura del nostro tempo è proprio
questa". Quanto all'uso del dialetto, "oltre a Tony Effe si nota
nei testi di Serena Brancale e Rocco Hunt. Il napoletano è
comunque un dialetto nobile, è quasi la lingua della canzone
italiana. E il romanesco è molto vicino al toscano e quindi
all'italiano".
Tra le curiosità, Coveri cita il testo di Clara (Febbre),
"molto sofisticato, con qualche termine francese". E Bresh, con
La Tana del Granchio: "Con l'aiuto della banca dati Le parole di
Sanremo (a cura di Massimo Arcangeli e Luca Pirodda, ndr)
possiamo rilevare che tana è apparso una sola volta al festival,
in un testo del 1996, e granchio è un hapax, ossia una novità
assoluta". Inedito è anche il titolo Cuoricini dei Coma_cose,
"mai usato prima a Sanremo, che sembra anche alludere a un certo
understatement rispetto all'inflazionatissimo cuore".
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